Nuovo intervento di Emanuele Severino nel dibattito lanciato dal Corriere sulla fecondazione assistita in vista del referendum del 12 e 13 giugno. Secondo il filosofo, che ribatte alle tesi di monsignor Sgreccia, la posizione della Chiesa porta a una conclusione che contraddice la realtà
L’articolo di monsignor Sgreccia pubblicato martedì 10 maggio sul Corriere
mi induce a riproporre un tratto del mio discorso sull’embrione—lasciando
anche questa volta da parte il mio pensiero filosofico e la mia critica del
concetto di «capacità», e indicando solo quali conseguenze scaturiscono
dalla dottrina della Chiesa sull’embrione. Invito cioè la Chiesa a pensare
con attenzione al contenuto del mio articolo apparso sul Corriere del 24
febbraio 2005. Nel marzo scorso monsignor Sgreccia mi aveva criticato
dicendo tra l’altro che, per me, affermare (come la Chiesa afferma) che
l’embrione è sin dall’inizio un essere umano «è come affermare che l’uomo è
"capace di entrare nel Regno dei Cieli"». Santo cielo! Se io avessi scritto
queste strampalerie monsignor Sgreccia avrebbe il diritto di considerarmi
uno sciocco. Ma non avendole scritte è sorprendente che un esponente così
autorevole e competente della Chiesa abbia così frainteso il mio discorso.
Che dunque ripropongo con alcune considerazioni relative al nuovo articolo
di Sgreccia.
Secondo la filosofia a cui (anche) la Chiesa si ispira, un uomo può
nascere solo se, prima di esso, esiste qualcosa che ha la capacità (o
«potenza ») di diventare uomo. Si badi: qualcosa di unitario. Tale
principio vale anche per altre forme di «generazione». E così: una statua
può essere prodotta solo se, prima di esserlo, esiste, poniamo, un blocco
di marmo capace di diventare una statua (per opera dello scultore). Se il
blocco fosse in frantumi, nessuno di essi, e nemmeno il loro insieme,
avrebbe la capacità di diventare quella statua. Per produrre quella statua
bisogna che le parti del blocco non siano frantumi, ma unite; ossia,
bisogna che il blocco sia qualcosa di unitario. Altro esempio: un uomo può
entrare nel Regno dei Cieli (può esistere cioè quel processo che è la
«generazione» di un beato) solo se, prima che egli vi entri, esiste
qualcosa di unitario che ha la capacità di entrarvi e che è appunto
quell’uomo durante la sua vita terrena. (Non sono la testa, le gambe, o
parti della psiche, in quanto tra loro separate, ad avere quella capacità:
non sono cioè i pezzi dell’uomo ad averla).
Se non esistessero la capacità del blocco di marmo di diventare
statua e la capacità dell’uomo di andare in Cielo, l’esistenza di statue di
marmo e di beati sarebbe impossibile. Epertanto, ritornando al nostro caso,
se, prima della nascita dell’essere umano, non esistesse qualcosa di
unitario, avente la capacità di diventare un uomo (se cioè non esistesse un
uomo «in potenza »), la nascita di uomini sarebbe impossibile.
Orbene,
per la Chiesa, l’embrione è, sin dal momento della fecondazione, uomo,
persona; e il principio spirituale (l’«anima razionale») per il quale l’uomo
non è animale è creato da Dio. Per la Chiesa, cioè, Dio crea tale principio
sin dal momento della fecondazione, cioè dell’unione del gamete maschile e
femminile.
E siamo al punto. La domanda che rivolgo alla Chiesa
(e ad altri) è: se un uomo può nascere solo se prima di esso esiste un
qualcosa di unitario che ha la capacità di diventare un essere umano, e se
sin dalmomento della fecondazione l’embrione è essere umano «in atto», che
cosa è e dove è mai il qualcosa di unitario che ha la capacità di diventare
uomo e senza di cui nessun uomo potrebbe nascere? Dov’è l’uomo «in potenza»?
La Chiesa non può rispondere a questa domanda.
Infatti, prima
dell’unione dei gameti (con la quale, per la Chiesa, esisterebbe già sin
dall’inizio un uomo «in atto»), i gameti sono separati e nessuno dei due, in
quanto separato, può avere la capacità di diventare uomo. (Come nessuno dei
frammenti del blocco di marmo ha la capacità di diventare una statua; né
sono i pezzi di un uomo ad avere la capacità di andare in Cielo). E come
l’insieme dei frammenti del blocco di marmo non ha la capacità di diventare
statua, nemmeno l’insieme dei due gameti separati ha la capacità di
diventare uomo. E, per la Chiesa, prima della loro unione non può nemmeno
intervenire Dio a infondere in essi l’«anima razionale».
Che cosa
segue da tutto questo? Un assurdo: sostenendo che fin dal momento della
fecondazione esiste un uomo «in atto», la Chiesa viene a negare (contro le
proprie intenzioni) l’esistenza della capacità, da parte di qualcosa di
unitario, di diventare un uomo; e da questa negazione segue ciò che anche
per la Chiesa è un assurdo, ossia che non potrebbe nascere alcun uomo. Ma
gli uomini nascono. Dunque ciò che provoca questo assurdo è impossibile,
ossia è impossibile che sin dall’inizio l’embrione sia un uomo.
Monsignor
Sgreccia mi ricordava che «i due gameti hanno la capacità di generare un
individuo- ratto allo stato embrionale, che poi si sviluppa e diviene adulto
proprio perché esiste una capacità, una potenzialità che si attua nel
momento dell’unione». Ma, replico, questa capacità di diventare adulto è
quella che si costituisce quando l’embrione ha già incominciato ad esistere:
non è quella di cui stiamo parlando, che è la capacità di qualcosa di
diventare embrione umano (o animale) — la capacità, cioè, che cessa di
esistere quando l’embrione incomincia ad esistere.
Per uscire
dall’assurdo ora indicato è dunque necessario negare che sin dall’inizio
l’embrione sia un essere umano in atto; e dunque è necessario che Dio
infonda l’anima razionale dopo che l’embrione ha incominciato a esistere,
ossia è necessario affermare che ciò che ha la capacità di diventare uomo
sia costituito, perlomeno, dallo stato iniziale dell’embrione, per quanto
breve esso sia.
Per la scienza non sappiamo quando l’embrione
incominci a essere persona. Ma, sulla base dell’argomentazione ora indicata,
la Chiesa, per evitare l’assurdo, deve dire che all’inizio della sua
esistenza l’embrione non è persona. È poco, ma è decisivo. (È poco, perché
rimane aperto il problema, per la Chiesa, di accertare l’estensione di
quell’inizio, cioè se Dio crei l’anima razionale subito dopo l’unione dei
gameti, oppure dopo qualche tempo). Non è meglio che la Chiesa, anche qui,
ritorni a san Tommaso, per il quale «il feto è animale prima di essere
uomo»? (Il mio riferimento a Tommaso è stato poi ripreso da altri).
Uscirebbe dal vicolo cieco in cui si è cacciata. O almeno da questo — altri
ancora essendocene, ancora più ciechi; e non solo per la Chiesa.
Nell’articolo
pubblicato sul Corriere monsignor Sgreccia parla invece da scienziato. Ma,
rispetto a quanto sopra abbiamo mostrato, sfonda una porta aperta. Richiama
infatti che per la biologia (e anche per biologi non credenti) l’embrione
ha, «fin dal momento della fecondazione » un’«identità» biologica, genetica
e organica. Un cane, dice, è cane sin dal momento della fecondazione e
rimane cane fin quando è vecchio e prossimo alla morte. E aggiunge:
«Pensiamo che la stessa biologia valga anche per qualsiasi animale
superiore, compreso l’uomo ».
Ora, non v’è dubbio che i biologi
siano per lo più d’accordo su questo avvicinamento di cani e uomini. Ma
monsignor Sgreccia qualche dubbio dovrebbe averlo. La dottrina della Chiesa
non è adeguatamente rappresentata da scritti come questo di Sgreccia. I
biologi, infatti, non hanno difficoltà ad affermare che un organismo
materiale si evolva e divenga mente, coscienza, ragione, cioè essere umano —
come, perlopiù, essi non hanno difficoltà ad affermare l’evoluzione delle
specie, quella evoluzione, cioè, per la quale l’uomo proviene dalla
scimmia.
Ma la Chiesa può starsene tranquilla come lo è monsignor
Sgreccia? La Chiesa esclude perentoriamente che la vita umana e il suo
inizio possano essere adeguatamente intesi dalla scienza e dalla biologia.
Per la Chiesa la spiegazione adeguata si può raggiungere — abbiamo detto
sopra — solo introducendo l’azione di Dio, che crea lui, direttamente, ciò
che vi è di propriamente umano nell’uomo. In questo articolo monsignor
Sgreccia ha invece l’aria di sostenere che per risolvere il problema
dell’inizio della vita umana basti la scienza. La Chiesa non è adeguatamente
rappresentata da un discorso come questo di monsignor Sgreccia che lascia
così vistosamente da parte quel sapere filosofico al quale invece la Chiesa
— con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI — dà una così rilevante
importanza.
Ho detto che, rispetto all’argomentazione sopra
sviluppata, monsignor Sgreccia sfonda una porta aperta, perché tale
argomentazione parte proprio dalla supposizione che l’embrione sia, sin
dall’inizio, vita umana (e lo sia nel senso voluto dalla Chiesa, non dalla
sola biologia); e così partendo — ossia pur concedendo tutto ciò che sta a
cuore alla Chiesa e a monsignor Sgreccia—tale argomentazione mostra a quale
assurdo quella supposizione conduca.
Come dice monsignor
Sgreccia, la coscienza morale proibisce che si spari verso un cespuglio se
appena si dubita che dietro di esso, invece di una lepre, ci sia un bambino.
Ma quell’argomentazione mostra che la dottrina della Chiesa sull’embrione
conduce alla conclusione (certo non voluta dalla Chiesa) che dietro il
cespuglio non può essersi venuto a trovare nessun bambino — appunto perché,
come si diceva, quella dottrina porta a negare la capacità di diventare un
essere umano (ossia un bambino dietro il cespuglio).
E dico tutto
questo condividendo le preoccupazioni per la manipolazione e mercificazione
dell’uomo.
Fonte
- Emanuele Severino, Corriere della Sera